Una vecchia signora indiana gestisce una bottega nella popolosa america. Un piccolo spazio in cui individuare desideri e sogni. Uno spazio in cui le storie dei clienti si mescolano a quella della maga a raccontarci un mondo di speranze e delusioni.
Una visione diversa del sogno americano con le sue contraddizioni e le sue paure con le spezie a far da giudici e medici attraverso le nodose mani della maga.
Un sapore sudamericano all’inizio di questo corposo libro. Forse per la presenza delle spezie e di un esoterismo colorato sembra quasi di trovarsi in uno stralcio di vita dei romanzi di Amado. Poi però si perde, lasciandone giusto l’aroma delle spezie. La scrittrice ci catapulta in un’america faticosa per l’immigrato che si barrica nelle proprie tradizioni o si trova, a volte suo malgrado, a dover affrontare un processo di occidentalizzazione a un ritmo più veloce rispetto le proprie capacità.
Il tutto lo renderebbe un buon libro se non cadesse nel romantico e non facesse incontrare alla nostra vecchia maga un americano che, non solo è un figaccione non indifferente, ma che ha anche la capacità di vedere la sua bellezza oltre il corpo deformato dalla vecchiaia.
Per gli amanti dell’esotico che non si aspettano però rivelazioni sull’india.
Per avere un racconto dall'india consiglio il dio delle piccole cose di Arundhati Roy e l’ora del tramonto di Umrigar Thrity.
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