martedì, settembre 30, 2008

Tutta la vita davanti


Virzì ci racconta cosa è al giorno d’oggi avere tutta la vita davanti attraverso la vita di Marta, brillante neolaureata in filosofia con tanto di lode e bacio accademico che si ritrova catapultata nel mondo del lavoro. La sua cultura e la sua preparazione non saranno utili quanto una spintarella da amici e parenti e si ritrova, per caso e per scelta divisa fra un call center e la casa di una ragazza madre in cui Marta vive come ragazza alla pari occupandosi della piccola di casa.

La vita del call center inizia presto, con un sms di risveglio motivante da parte della responsabile (una agguerrita e psicopatica Sabrina Ferilli con audaci tailleur), continua con un simpatico coro collettivo prima di dare il via alle telefonate e si conclude con la consegna dei risultati del giorno con relativi plausi e rimproveri di fronte a tutte. Un ambiete da lavaggio del cervello in cui corsi motivazionali e manifestazioni goliardiche sono la formula per creare dipendenti fedeli e competitivi, altrimenti, senza tanti complimenti vieni messo, da un momento all’altro alla porta. In questo perfetto meccanismo non riesce a far breccia nell’azienda e tanto meno nei dipendenti nemmeno l’ostinata determinazione di un giovane sindacalista.

Ma Marta è diversa dalle ragazze che sognano il Grande Fratello e ambiscono al capo e piano piano inizia ad averne abbastanza e confessa al sindacalista il modo in cui si lavora lì dentro, dalle chiamate a povere vecchiette al sistema piramidale ai licenziamenti in tronco. Da questo ne nasce un caso che porterà all’epilogo e attraverso cui incontriamo svariati personaggi, da un incredibile Elio Germano (lo eleggerò mio attore preferito) a un piacione Mastrandrea, a un Massimo Ghini a metà tra il super uomo e il fallito.

Un ritratto del mondo del lavoro doloroso, nonostante i ritmi del film siano da commedia. La consapevolezza che non esiste più una motivazione che spinge i lavoratori a muoversi uniti, in cui, per terrore, per pigrizia e per egoismo si sta nella propria postazione senza alzare gli occhi su chi viene licenziato per non essere “influenzato da chi non ce l’ha fatta”.

Un ritratto in lacrime delle prospettive per (come diceva Moretti ai tempi) per NOI GGGIOVANI che non solo a volte siamo costretti a rinunciare ai nostri sogni di realizzazione lavorativa, ma che ci prendiamo dei bamboccioni solo perché a 30 anni, dopo magari anni di lavoro, ci ritroviamo ancora con contratti precari, con la paura di non sapere se il prossimo anno avremo un posto di lavoro figurarci poter programmare una vita, una famiglia ed una casa. Contratti assurdi che scadono ogni anno, quando va bene, se non ogni mese.
Inutile dire che il film, come tutti i suoi interpreti, è godibile, bello e ben fatto, ma ne sono uscita stesa nell’ottimismo, demolita nella visione di un domani diverso, anche perché, il racconto di Virzì è così vero che a un certo punto ti senti parte della commedia….

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